Storia di Sandrone
Nascita di Sandrone
Finora si era creduto che Sandrone fosse l’unica maschera ad avere avuto le origini in un casotto di burattini, anzichè dalla Commedia dell’Arte, come le più importanti maschere italiane.
La recente scoperta di una commedia di Giulio Cesare Croce (autore del famoso «Bertoldo e Bertoldino»), databile al 1584, intitolata «Sandrone astuto», dove tra i protagonisti troviamo un contadino rozzo sì, ma furbo e scaltro, di nome Sandrone, fa presumere che anche la nostra simpatica maschera abbia avuto origine dal Teatro dell’Arte. La commedia, manoscritta, ci fa pensare che il Croce l’abbia rappresentata e fatta conoscere, e se non ebbe la fortuna di altre commedie, la cui risonanza è giunta fino a noi, si deve forse al fatto che egli era un cantastorie, un girovago non molto ben visto dalle autorità e dalla classe dirigente di allora.
Infatti il Croce nelle sue opere (che furono circa cinquecento) esaltava gli umili, difendeva i deboli e i derelitti contro i prepotenti, sbandierava gli errori e i difetti dei ricchi e dei nobili, senza peli sulla lingua, perciò di conseguenza, non poteva godere i loro favori. La commedia, riportata in luce, è una sicura testimonianza della creazione, da parte del nostro autore, di questa maschera che, rappresentando il popolo più umile, il contadino di allora, maltrattato ed eternamente affamato, ma astuto e sempre in cerca di stratagemmi per sbarcare il lunario, lo rese popolare e, senza avere appoggio di stampa e dei teatri di corte, si diffuse un po’ in tutta la nostra regione.
Da Burattino a Re
Nei primi tempi, diffondeva solo un proclama, che parlava degli avvenimenti dell’anno (solite carestie, alluvioni, gelate, grandinate, ecc.), poi, nel 1886, si costituì la prima famiglia Pavironica formata da Carlo Preti, il figlio di Giulio (Sandrone), Filippo Preti, figlio di Guglielmo (Sgorghiguelo) e dal fotografo Pellegrino Orlandini (Pulonia).
Poi alla fine dell’800, iniziarono i discorsi o «Sproloqui» di Sandrone con interventi degli altri componenti la «Famiglia». I primi furono tenuti presso la sede della Fratellanza, poi davanti alle varie sedi della Società del Sandrone e al palazzo Solmi in Via Emilia, che costituirà per lungo tempo, col suo balcone, il normale arengo della maschera modenese.
Nel 1946, dopo la triste parentesi bellica, la famiglia Pavironica ricompare, e i cittadini commossi vedono in lei il simbolo della ripresa, della
ricostruzione, della pace. Quell’anno Sandrone tiene il suo discorso in piedi sulla «Préda Ringadòra»; dall’ anno successivo, diremmo quasi per volere del popolo che vede nelle sue maschere i propri rappresentanti al di sopra di ogni colore politico, Sandrone sale sul balcone del Palazzo Comunale e da lassù manda
a tutti i modenesi «dèinter e fòra da la mura» i suoi messaggi.
Per pieno accordo fra tutti i partiti politici, su quel balcone, che una volta era l’«arengo» comunale, ora solo la Famiglia Pavironica è «concessionaria» del diritto di fare discorsi, nel pomeriggio del Giovedì Grasso. Quel giorno, Sandrone, Pulonia e Sgorghiguelo escono dalla stazione delle Ferrovie dello Stato, fingendo l’arrivo dal leggendario Bosco di Sotto, residenza abituale del nostro trio, preceduti da una fanfara camevalesca, seguiti da altre maschere provinciali, regionali e nazionali.
Ecco perciò che lo ritroviamo nel Settecento a rappresentare il popolo reggiano in certi lunari col nome di “Sandròun Zigolla da Ruvelta “, ed ecco che alla fine dello stesso secolo, a Carpi, Luigi Campogalliani mette Sandrone nel suo casotto dei burattini protagonista di gustose commedie, lasciandogli sempre le caratteristiche che duecento anni prima gli aveva dato il Croce.
Maschere e Dialetto
I burattini e le maschere rappresentano, da sempre, l’anima autentica del popolo e della tradizione, ne compendiano pregi e difetti, ne esasperano i tratti e le manifestazioni. La povertà, la fame, la furbizia, la lotta quotidiana per la sopravvivenza, la solidarietà di casta, la bonomia ed il senso di giustizia rappresentano alcuni dei lati più evidenti del loro carattere e servono a chi vuole “leggere” aldilà dell’apparenza, ad individuare i caratteri del popolo e, quindi, della società cui appartenevano.
Conoscere e comprendere il passato anche attraverso le maschere che ce lo presentano in modo vivo e reale mediante le loro pantomime, significa risalire alle nostre radici e scoprire la parte più autentica del nostro essere e della nostra modenesità. Così, riscoprire e usare la loro lingua, il dialetto appunto, consente di impossessarci, fino in fondo, di un modo di essere che ci appartiene perchè ci ha costruiti così come siamo.
Le maschere, e per noi Sandrone con la sua arguta famiglia, ci avvicinano al dialetto e soltanto attraverso il dialetto possiamo davvero metterci in contatto con loro e con il loro piccolo mondo antico.
Il Mondo di Sandrone
Il mondo che esprime Sandrone attraverso i suoi discorsi, come si è detto, è l’ambiente contadino di un tempo. Sandrone, infatti, è un agricoltore, coadiuvato dal figlio nel lavoro dei campi, e dalla moglie cui sono affidati i lavori domestici.
E’ una tipica famiglia rurale della Val Padana. Una famiglia che affonda le radici nella civiltà contadina, intrisa di schiettezza, genuinità, bonomia e gusto della battuta umoristica, detta senza eufemismi e mai scurrile. Civiltà innestata in quel patrimonio culturale tramandato attraverso i millenni di padre in figlio, arricchito via via nel tempo di nuovi apporti dettati dall’esperienza di vita, nel funzionamento semplice, seppure tribolato, della loro attività, della loro economia, dei loro rapporti umani.
Una cultura sostanziata dai valori più elementari dell’esistenza, ma anche dalle passioni più sane: il senso dell’onore, l’attaccamento alla famiglia, la paura dei debiti, il sentimento dell’amicizia, la solidarietà; e ancora il coraggio e la paziente sottomissione ai piccoli soprusi e alle ingiustizie, la miseria sopportata con dignitoso silenzio. Tutto ciò era cultura, norma di vita; non erano soltanto i comportamenti quotidiani, coi loro princìpi morali, un semplice dettato della tradizione, ma veri e propri valori dell’intelletto. Un intelletto alimentato da proverbi e massime intramontabili che suggerivano il miglior modo d’agire in ogni situazione.
Qualcuna di queste massime era un misto di fede e superstizione, qualche altra contradditoria, ma la maggior parte satura di così fresche intuizioni poetiche da condensare il pensiero in una scienza esistenziale che testimoniava la capacità di ragionare e, se si vuole, di filosofare. Tutto questo retaggio Sandrone porta con sè ogni anno quando, per Carnevale, arriva a Modena dal mitico “Bosco di Sotto”.
E questo spiega il motivo di tanto interesse e tanto entusiasmo da parte dei Modenesi per il suo “sproloquio”. Le soluzioni che egli propone a tanti problemi locali, regionali e nazionali sono dettate infatti da quella “saggezza antica” di cui si è parlato. Sandrone cerca di spiegare e di risolvere questi problemi a modo suo, scherzosamente, ma con buonsenso e con quella vena umoristica comune a tutta la popolazione modenese.
E la folla accorre ad applaudirlo perchè riconosce in Sandrone il suo rappresentante, e ascolta il discorso, pronunciato così alla buona, perchè parla come qualunque modenese potrebbe parlare: semplicemente e “col cuore in mano”.